venerdì 9 ottobre 2015

IL VILLAGGIO DEI DANNATAMENTE GENTILI

ATTENZIONE: questo post è stato pubblicato originariamente il 23 luglio 2013. Lo ripropongo ora per rimediare ad un erronea eliminazione. Sorry.

Non ho difficoltà ad ammettere che crescere in una città come Bologna offre molti vantaggi: ci sono cose da fare, posti da vedere eppure tutto è straordinariamente a portata di gamba o, nel mio caso, di ruota di bici. In una città così la macchina conviene dimenticarla, anche perchè altrimenti ci pensano i vigili urbani ad indurti l'amnesia coatta, trasportandola in un deposito auto sperduto e gestito da galantuomini che ti conteggiano sempre almeno un bel centone di sosta sul loro prestigioso asfalto, persino quanto la sosta è durata 30 secondi grazie al fatto che, sull'onda della furia omicida, tallonavi di corsa e da vicino il carroattrezzi.
Eppure vivo in provincia, nella bassa più bassa, dove l'argine e la sponda del fiume sono entrambi parecchio più in alto del balcone di casa tua. Dove a svegliarti alla mattina ci pensa l'adorabile contadino trebbiatore, accompagnato nel ritmo dalle galline più logorroiche che abbia mai sentito e, in un sottofondo corale da tragedia greca, dalle maledette cicale. E ci sto bene. Ne sono felice.
E tutto questo senza essermi riprodotta neppure una volta e appellarmi quindi a quelle valutazioni da madre moderna bolognese tipo: "sì, sai, ci siamo trasferiti in un bel cascinale del 1800 in mezzo al bosco, dove si accede soltanto tramite un pratico sistema di carrucole e pulegge appese agli alberi, ad appena 40 minuti dalla più vicina strada asfaltata e nota ai cartografi ufficiali. L'abbiamo fatto per Biancamaria e Guiberto, vogliamo che i piccoli crescano a contatto con la natura e nutrendosi solo di bacche, muschi e licheni biologici".
Io non ho pargoli a cui creare intolleranze indotte al cibo ordinario, non ho fisse per l'orto biologico e neppure l'asma da polveri sottili con cui giustificare il mio trasferimento, ho solo il dato semplice e verificato per il quale trovo che qui si stia proprio bene.
Gli amici che non capiscono questa mia insana passione per nebbie e malta mi dicono (con voce quasi isterica da chi cerca di fermare l'aspirante suicida sul bordo del cornicione) "il centro è comodo, hai tutto a portata di mano" e io a chiedermi cosa esattamente ho a portata di mano (sulle labbra avrei la citazione di storica risposta del Necchi nel primo "Amici miei", cioè la fava). Se voglio fare la spesa, e a meno che non si tratti di una bottiglia di birra San Miguel di emergenza, tocca estrarre la macchina dal garage progettato negli sessanta, quando la 500 era un auto per famiglie numerose, e andare fino al primo supermercato serio, cioè fuori dal centro. Anche ad averne uno vicino la situazione non migliora: sorvolando sui prezzi, devi effettuare una scelta di vita, tra il frigo un minimo pieno e la perdita dell'uso delle braccia. Perchè se non vuoi tornare di nuovo a fare la spesa il giorno dopo e almeno che tu non sia dotato di molto tempo libero e tanto amore per i supermercati, ti tocca prendere almeno una cassa di acqua e un po' di frutta, che soprattutto in estate può significare melone e/o anguria. E se hai una commozione cerebrale e credi di essere Wonder Woman e provi a caricare tutto sulla bici, scoprirai in breve, di solito nel mezzo di un incrocio, come la forza di gravità e la pendenza della strada abbiano sempre la meglio sulla tua pretesa di pedalare con una confezione di 6 bottiglie da due litri incastrata tra la canna della bici e il mento, un melone appeso al braccio destro, un'anguria al braccio sinistro e il resto della spesa nel cestino. Non mi si dica poi che sono a portata di mano i cinema, che ormai muoiono come le mosche e allora tocca andare alle multisala, che guarda caso sono fuori dalla città.
Comunque, se proprio ci tenete a saperlo tutti, non sono nè l'erba rigogliosa al posto dell'asfalto, nè il profumo di lavanda e gelsomino contrapposti al puzzo di piscio e vomito, e neppure l'aria di parecchi gradi più fresca a farmi preferire la provincia denuclearizzata al centro, storico e non.
Sono le persone. Non so se sia un fenomeno ristretto a Longailand o se riguardi tutta la provincia bolognese, ma qui la gente è (attenzione) gentile. Civile. Piacevole, persino. E senza bisogno di venderti nulla.
Quando sono arrivata nel mio nuovo condominio avevo una paura precisa: vicini cafoni, stronzi e rumorosi che cominciassero da subito a lamentarsi del cane, del pelo che vola, del fatto che hanno paura e questo fatto da solo dovrebbe fondare una legislazione che vieti i cani nel mondo. Invece ho passato qualche giorno a chiedermi se i miei vicini fossero tutti frequentatori di rave party fino alle otto del mattino, visto che non davano alcun segno di sè per rumori o voci nelle ore serali. Infine, una mattina quelli del piano di sopra sono scesi, addobbati in identiche tute da ginnastica, freschi e delicati come una pubblicità sulle colla per dentiere che ti permette di addentare le pannocchie crude, di quelle dove lui e lei stagionatini pomiciano su una spiaggia eccitati in maniera imbarazzante , e mi si sono presentati, chiedendomi come stavo, se mi trovavo bene, se avevo bisogno di qualcosa. E poi via di coccole ad un disorientato Frankie, anche lui più abituato alle occhiatacce che non alle mani gentili.
Questa scena si è ripetuta perfettamente identica con tutti gli altri vicini, perfino quelli bambino muniti, i quali, invece di ululare a Gianandrea di non avvicinarsi a quel grosso cane, che in quanto nero sicuramente morde e dovrebbe girare con una museruola a chiusura blindata, hanno invitato la loro figlioletta (bellissima, con le treccine, voce dolce, educatissima, si chiama Sara. E scusatemi se è poco.) a non spaventare Frankie e ad avvicinarsi con delicatezza per accarezzarlo, solo se io davo il permesso. A ruota è poi giunto il vicino che mi ha proposto la pizzata di condominio in cortile, luogo nel quale tutti scorazzano allegri e divertiti, senza sterili discussioni su quante piastrelle della pavimentazione ogni condomino abbia diritto di calpestare nè tentativi di usucapirne una parte recitandola con plurimi stendini. Qui gli umarelli ti sorridono benevoli anche se gli cammini in mezzo al campo arato, la gente ti saluta e sorride anche se ti conosce solo di vista, tutti mi fanno i complimenti per il cane. Un coppia deliziosa, dopo aver saputo che prima abitavo a Calderara (cioè 2 km a sud ovest di Longailand) mi ha chiesto come mi trovassi qui, con lo stesso fervore che si riserva a chi viene dal centro di New York e ha poi concluso dicendo che in effetti qui la vita è migliore, perchè Calderara è troppo "caotica". Per un po' ho creduto mi prendessero in giro, ma ho verificato che no, erano seri.
Dopo una simile iniezione di Pleasantville ho cominciato a pensare di stare esagerando, che in fondo la gente è gentile un po' ovunque, perfino a Bologna, basta essere aperti e positivi. L'ho pensato camminando verso la macchina, parcheggiata nel cortile interno del condominio in cui ho lo studio, appena fuori dal centro della predetta città. Cortile dove ho tutto il diritto di stare e dove sono sempre molto attenta a non dare fastidio agli altrui mezzi, parcheggiando con mille manovre per farmi sempre più piccina e incastrata. Ho continuato a rifletterci anche mentre prelevavo dal parabrezza il biglietto vergato a mano da una coraggiosissima condomina di appena 112 anni, a cui la macchina dovrebbe servire solo come fioriera, che sbozza la carrozzeria contro ogni oggetto contundente e cerca di accollare la colpa alle manovre di noi utilizzatori del cortile. Alla fine ho ceduto, tutto mi è stato chiaro, la rivelazione è giunta mentre, lette le minacce di rimozione forzata del mio mezzo perchè, a suo insidacabile giudizio, parcheggiato troppo a sinistra, meditavo se usare una chiave o un cacciavite per scriverle "anch'io ti voglio bene" su ambo le portiere: a Longailand le persone sono diverse. Probabilmente, se facessi ricerche negli archivi dei giornali locali, scoprirei che un'ottantina di anni fa nel paese ci fu un impressionante black out generale, con svenimento collettivo, a seguito del quale tutte le allegre signore si risvegliarono incinta e tutti gli allegri signori avvertirono un certo cerchio alla testa. Capirei pertanto che quel delizioso film che è "Il villaggio dei dannati" (versione originale, con bambini dalle parrucchette bionde, niente porcherie moderne) non è proprio tutta invenzione, sebbene senza risvolti horror. E molte cose avrebbero finalmente senso.
Forse ho un animo da studiosa intergalattica, forse mi piace il colore verde, o forse mi sono soltanto rotta le balle della scortesia che da sempre noto in molti abitanti di Bologna, ma io nella bassa ci sto bene e non piangerò tutte le mie lacrime per il fatto di non avere il cinema direttamente sotto il culo o il museo (a cui alla fine non trovo mai la voglia di andare) a pochi sudici metri da casa. E comunque, se mai dovesse pungermi vaghezza di riprodurmi, giuro che non chiamerò i miei figli con astrusi nomi gotico medievali, che li svezzerò al Mcdonald, che li porterò periodicamente a fare un aerosol di tubi di scappamento bolognesi, e che li lascerò ogni giorno per qualche ora nella piazza dell'orologio con gli umarelli, perchè la provincia è magica, ma la vita vera è dura. Poi muori.


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