Ispirata come una boccetta di Vicks Vaporub, inauguro oggi la rubrica di Sconsiglio Cinematografico. Per consentire a me, padrona di scienza infusa di cinematografia, di istruire voi, poveri figli miei, che non siete padroni di un cazzo (cit. cinematografica di grande valore e facile facile. Chi indovina?).
Questa settimana ho visto il film "Janara", selezionato personalmente dall'Inquisitore Spagnolo, che si è innalzato ulteriormente nella mia stima, da quando ho scoperto che ha un fiuto infallibile per le chicche del trash improbabile. I film che vi scova lui non ve li trova nemmeno il Morandini in carne e ossa. I film che trova lui, probabilmente, non li conoscono nemmeno i parenti stretti dei relativi registi.
Già la locandina di Janara prometteva bene: la scritta "ispirato ad una storia vera" è sempre una garanzia.
Ti terrorizza, ti fa venire il dubbio che Wes Craven tutte cazzate non avesse poi detto. Questo prima del film. Dopo il film ti chiedi se l'ispirazione era riferita alla nonna squinternata del regista che non si pettinò per vent'anni di fila, proprio come l'attrice protagonista (e Renè Ferretti saprebbe come appellarla, molto meglio di me).
Fino ad oggi non conoscevo la parola Janara, che a quanto pare esiste davvero come termine, e relativa leggenda, nel beneventano, né tante meno conoscevo vita e opera del regista Roberto Bontà Polito. Il quale, prima e al di là di qualsiasi inquadratura ardita, mi ha colpito per la metrica del nome, il suono che produce se lo si pronuncia tutto d'un fiato. Robertobontàpolito. Pare una formula magica dell'incantevole Creamy.
Il film, interpretato da attori giustamente sconosciuti o dimenticati, inizia con un signore incanutito, il quale traffica con delle foto in cantina. In sottofondo, voci femminili e lamenti, che crescono fino ad essere inquietanti e, soprattutto, fino a che il signore stramazza morto a terra.Stacco improvviso di scena ed eccoci in macchina con la protagonista femminile, disperatamente bisognosa di un buon balsamo per i capelli ricci, e il suo lui, che guida parlando allo smartphone, con cui lei sta girando un video per il futuro figlio. Rischiano la morte a più riprese, mentre si palleggiano le scarpine da neonato comprate a 30 secondi dall'esito positivo del test, ma alla fine e contro ogni previsione arrivano a San Lupo, nel beneventano, paesino di origine di lei, dove è da poco deceduto il nonno. Cioè il vecchio ciappinaro che si sviluppava le foto da solo in cantina. Non è mai troppo tardi per ricordare al mondo che il fai da te è pericoloso.
I nostri eroi vengono accolti a fraterne mestolate dalla sorella di lei, che, pur gestendo una struttura non meglio definita (albergo? Ristorante? B&B? Mensa scolastica?), gli nega ogni tipo di alloggio e di ristoro, in un deja vu che fa subito Betlemme. Si intuisce una certa disarmonia tra le sorelle, ma la protagonista sorvola, ed esce con il Pandolone a cui è appaiata a cercare un'altra sistemazione. Ma essendo che i nostri eroi si fanno benvolere da tutti al primo sguardo, non fanno due metri che un gruppetto di soggetti dall'aria torva li prende a male parole, avvicinandosi minaccioso, con la chiara e condivisibile volontà di picchiare il Pandolone.
Sul più bello, interviene il parroco del paese, un certo Andrea, dal credibilissimo accento statunitense. Attimi di tensione, soprattutto perché Don Andrea è alto come un puff(o) e scompare tra le gambe degli altri attori. Poi gli animi si placano, Pandolone è salvo e il Don, che si rivela amico di vecchia data della protagonista, spiega l'arcano: il paesino di San Lupo è da mesi funestato dalla sparizione dei bambini del luogo, forse colpa di misteriosi pedofili, al punto che ne rimangono sì e no un paio. Contando anche il Don. I malintenzionati che li hanno assaliti li avevano scambiati per giornalisti venuti a lucrare sulle sfighe degli abitanti.
Confortati da così belle novità, l'Arricciata e il suo Pandolone trovano alloggio presso una vecchia amica di lei, sposata con un'alcolista per nulla anonimo e con un figlio che reca seco l'allegria di un sepolcro. Il clima delle cene è dei più festosi, con i padroni di casa sull'orlo di un sanguinoso divorzio e il bambino prossimo al suicidio. Ci arriverebbe chiunque che, in una simile situazione ed essendo sgraditi ospiti, conviene mangiare a testa bassa, ringraziare, e filare a letto o, meglio ancora, filare dritti da dove si è venuti e la tomba del nonno la salutiamo poi via skype. Considerato pure il racconto sulle sparizioni di bambini e il fatto che la protagonista è incinta, uno tenderebbe a fuggire con una certa celerità. Ma non il Pandolone, che riesce a trovare da litigare anche con l'alcolizzato, il quale se ne va stizzito, avendo prima premura di tirare in ballo la storia della Janara. Ovvero una strega capellona, a sua volta afflitta dal problema del crespo, che secondo la leggenda si faceva i fattacci suoi nel bosco. Fino al giorno in cui non rimase incinta e pensò bene di minacciare il paese, sostenendo di aspettare il figlio del diavolo e chiedendo un piccolo incentivo economico per abbandonare l'amena località, lei e la sua prole. I notabili del borgo, per nulla ottusi e/o maschi, le fecero una contro offerta che non poteva rifiutare: lei finiva arsa viva sul rogo, con lei pure il pupo, hai visto mai che sia davvero imparentato con il Maligno, e tutti tornavano a vivere felici e contenti.
Come da copione, la Janara sale sul rogo fiera e da lì manda i migliori auguri di pronta sparizione a tutti i bambini del paese, che da quel momento, ciclicamente, scompaiono notte tempo, rapiti proprio dalla strega, secondo le credenze locali. L'alcolizzato spiega che solo una ciotola di sale sulla soglia di porta e finestre può fermare la Janara. Perché, vi chiederete. Perché la Janara, affetta da manie compulsive non diagnosticate, non può resistere dal mettersi a contare tutti i granelli di sale. Intanto che gioca a fare Rainman viene giorno e lei perde il suo potere maligno. Concluso il raccontino, l'alcolista esce a far danni e gli altri vanno a letto sereni.
Coerentemente con la serie impressionante di scempiaggini inanellate fino a questo momento, la protagonista si alza notte tempo, svegliata da incubi in cui le appare la strega capellona che le parla nel bosco, va in cucina per bere e, muovendosi al buio come chiunque farebbe dopo un incubo spaventoso, fracassa la ciotola di sale posta a guardia della finestra aperta. E quindi che fa, lo raccoglie e se lo getta alle spalle? La riempe con sale fresco e la rimette al suo posto? No. Lei, donna moderna padrona del proprio destino e dei propri bulbi, fa spallucce e torna a letto, con ogni telefonatissima conseguenza sul sepolcrale figlio della coppia di futuri ex coniugi.
Come va a finire Janara (se ami la sorpresa, evita la rivelazione e salta al paragrafo successivo)
Gran parte del resto del film è decisamente trascurabile. I fatti di un qualche rilievo, spesso comico, sono pochi, tipo: la sorella mestolara dell'Arricciata si tromba il Pandolone. Così, senza preavviso e senza alcuna finalità narrativa, se non quella di far emergere la sua natura di meretrice, per cui già anni addietro aveva sottratto il fidanzato alla sorella, inducendola ad abbandonare per il dolore il paesino di 10 anime in cui era nata. Non per altro, eh.Ancora, il paese si convince, grazie alla predica improvvisata del Don, che le sparizioni sono una conseguenza dei peccati degli abitanti. Ergo, dagli alla zoccola sorella dell'Arricciata. Seguono alcune memorabili scene di massa (7 comparse, probabilmente imparentate in gradi differenti con il regista Roberto Pimpulu Pampulu Parimpampù), che, in un attimo di distrazione, mi hanno fatto credere di stare guardando un trailer di Maccio Capatonda.
Basti sapere che la Janara esiste davvero, che ovviamente è parente della protagonista (se no chi li spiegava quei capelli) e che si è davvero portata via tutti i bambini. In una parentesi di cultura, viene infatti spiegato che la Janara si chiama così dalla parola latina che vuol dire porta, in quanto la strega è il tramite tra questo mondo e quello dei morti. A questo punto, forse per far conto pari, si porta via pure la zia della protagonista, la quale aveva tentato di far diventare strega in carica la nipote, ignorando la gravidanza. Un dettaglio importante, pare, visto che la signora viene trascinata nel limbo dei minchioni per i piedi e scompare urlando.
La protagonista fa appello ai sentimenti veri della Janara originale, nel frattempo apparsa, ricordandole che non tutto è perduto, che può ancora rimediare. Ad esempio, comprando un buon prodotto districante e una spazzola sciogli nodi. La Janara pare colpita e, scomparendo, emette un lunghissimo, straziante lamento. La letteratura non offre appigli sicuri in merito, ma pare plausibile ritenere che il lamento fosse dovuto alla scoperta, da parte della Janara che voleva finalmente farsi un taglio decente, che fosse, ovviamente, lunedì.
Siparietto finale, con salto avanti nel tempo di qualche mesetto, dove troviamo i nostri eroi che giocano ai genitori felici, già dimentichi delle vicende beneventane. Qui c'è un'interessante inversione, sebbene non proprio nuova, dei canoni horror: invece del Pallosissimo Prologo Felice, di cui parlerò nel prossimo sconsiglio, il nostro Roberto Polopolopollon utilizza un brevissimo epilogo felice. Cioè quella parentesi rasserenante, in cui i protagonisti credono di essere scampati al pericolo e si svaccano, ignari della sciabolata che la nera signora sta per tirare loro. E infatti.
Ritroviamo dunque Pandolone e l'Arricciata nelle loro faccende quotidiane: lei è in bagno da due ore a cospargersi le chiome con olio di semi di lino, lui lavora al pc, con un occhio vigile e bonario verso il monitor della telecamera che punta sulla culla. Vede spuntare una testa riccia e arruffata china sull'infante e sorride minchione: sarà quella paglietta infeltrita di mia moglie, pensa con tenerezza. E continua a postare felice foto di gattini sul profilo Facebook. Se non che, proprio sul micino che ti manda i kissini, spunta alle sue spalle l'Arricciata, con i capelli prudentemente avvolti in un asciugamano, fresca di doccia. Sul viso di lui spunta l'espressione da "oh cazzo". L'inquadratura scivola fluida sul monitor, dove si vede una testa sì arruffata, ma alquanto grigia, essendo quella della zia trascinata nell'aldilà. Panico e corsa verso la culla, ma troppo tardi. La Janara ha colpito e l'inquadratura sfuma sui protagonisti disperati.
Consiglio o sconsiglio?
Devo ammettere che in Janara non è tutto da buttare. Innanzi tutto, non guardatelo se siete in dolce (...) attesa. Gli ormoni sono traditori di loro e ci manca soltanto l'ansia da sparizione del pargolo ad opera di una strega che non conosce le regole per la cura dei capelli, che sono poche e una ragazza Cosmo lo sa (cit.). Alla fine qualche pro in questo horror lo si trova, del tipo:- alcune scene davvero inquietanti, soprattutto all'inizio e a metà del film, quando la protagonista capisce che la strega le si sta rivelando. Del genere vedo-non vedo, con cuscino su metà della faccia e desiderio di cambiare stanza per la tensione.
- La storia in sé. L'idea della strega e dei bambini che scompaiono mi ha inquietato non poco.
- L'immagine data alla strega. Questa figura un po' stracciata, con una massa di capelli crespi e gonfi che ti compare nei punti più impensati della casa mi ha tormentato in più di una notte. Complice il fatto che ho molti specchi in camera da letto e che io stessa ho i capelli crespi e gonfi. Confondersi è un attimo.
- Sicuramente gli attori. Il livello di recitazione è, nei momenti migliori, da soap opera della programmazione pomeridiana. Nei punti peggiori raggiunge le vette della comicità. Il che però, tutto sommato, potrebbe anche essere un pregio.
- La regia. Ci sono inquadrature, soprattutto nelle scene di folla (cioè quando più di 3 attori sono presenti contemporaneamente), che davvero non hanno nulla da invidiare al trailer de "Il Sesto scemo" o "La febbra".
- Il fatto che questo film non sia stato girato negli anni'80. Se così fosse stato, entro 30 minuti dall'uscita nelle sale avremmo avuto la parodia del Trio Solenghi Lopez Marchesini. E lì sì che avrei potuto gridare al capolavoro, senza ironia alcuna.
A me è piaciuto!mi sono identificato con l'alcolista
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