lunedì 29 giugno 2020

L'ANNO CHE VOLEVO



Quello nella foto, rosso ed inquietante, è un Daruma, un oggetto della tradizione Giapponese portatomi da mia sorella l'anno scorso. Non ho approfondito esattamente origine, funzione e storia del mostriciattolo, mi sono fidata di ciò che mi è stato riferito e questo post potrebbe contenere imprecisioni o perfino oneste sciocchezze sul poverino. Lo dico per correttezza e perché i commenti a tema "a dire il vero il Daruma è (segue saggio di 30.000 battute sul mostriciattolo da parte di laureat* all'università della vita)" mi annoiano tanto. Anche perché la tradizione giapponese non è al centro di questo post.

Come dicevo, mia sorella me lo ha portato dal Giappone a inizio 2019 e mi ha spiegato cosa dovevo farci: esprimere un desiderio/obiettivo per l'anno, disegnargli uno dei due occhi e poi metterlo in un punto alto della casa, in modo che stesse al di sopra della mia testa. Trovare un mobile più alto di me non era difficile, molto meno facile era capire cosa esprimere con l'occhietto del Daruma. Non sapevo cosa volevo e non sapevo cosa volere. Avevo un paio di idee in testa, nebulose, nessuna delle quali mi convinceva. Ma lasciarlo senza occhi non mi pareva di buon auspicio e nemmeno rassicurante, faceva troppo film dell'orrore giapponese. E i film dell'orrore giapponese non finiscono mai bene.



Alla fine, per esclusione e con pochissima convinzione, avevo ridotto il campo a due desideri del momento: trovare una casa nuova e avere un secondo figlio. Il primo obiettivo mi sembrava generico e superfluo. Nonostante da anni vada auspicando la mia dipartita da Argelato, la verità è che non avrei saputo dire, allora, che casa volessi e dove la volessi. In città? In campagna? Grande o piccola? Indipendente o condominio brulicante di umarelli? Cosa esprimevo a fare un desiderio che neppure io riuscivo a vedere?

Sul figlio mi pareva di essere un po' più sicura: certo, era un momento di crisi tra me e l'Inquisitore Spagnolo, ma il desiderio di un secondo figlio c'era. Anzi, era l'unico punto su cui fossimo d'accordo. Nemmeno sul figlio avevo certezze, non riuscivo a vederlo, a sentirmi se fosse un maschio o una femmina, mentre con la Pesticciola avevo avuto un'immagine chiarissima della piccola selvaggia che poi è diventata, da molto prima che il test si facesse positivo. Ma quello c'era e quello formulai, disegnando l'occhietto nero.

Il figlio non è mai arrivato. In compenso, è arrivato il 2019 in tutto il suo cambiamento, per cui alla fine mi trovo a scrivere questo post seduta sul divano da sola, mentre la Pesticciola trascorre il week end con sua padre, nella nuova casa di Bologna.

Ho scoperto tardivamente che il Daruma va affidato al suo destino, che potrebbe essere tornare al tempio come pure finire nell'umido, anche se il desiderio è rimasto tale (e allora il poveretto mi rimane membro del club Il Ciclope). Nessuna proroga, nessuna secondo opportunità. Ho quindi preso in mano il mio Daruma mono-oculato con una certa tristezza, per affidarlo ad un destino di visione singola.

Poi ho avuto un pensiero nuovo e gli ho disegnato anche il secondo occhio. Non sono incinta e no, non ho barato. Ho improvvisamente sentito che quel voto di avere un figlio non era stato fatto con superficialità come avevo creduto (ciao, sono Sara, e adoro giudicarmi severamente), ma era stato fatto con l'istinto, che non sempre si spiega bene bene. Ho sentito con certezza che era stato il voto giusto, perché una nascita questo 2019 me l'ha portata ed è stata per me più importante e più difficile del dare alla luce un altro essere vivente.

Ho capito, anzi ho saputo senza più un dubbio, che l'obiettivo di quest'anno è stato dare alla luce me stessa, portarmi fuori a fatica e insegnarmi a respirare. Come tutti i parti, è stato doloroso e faticoso, lunghissimo e con molti momenti di disperazione. Proprio come un parto, nel momento in cui ho pensato di non essere in grado di farcela, ci sono finalmente riuscita. E, in accordo con questa nuova vita, anche Frankie mi ha lasciato, con tanta dolcezza e uno sguardo che per me ha significato "ora ce la puoi fare anche senza di me, vado via tranquillo".

Dopo la nascita, proprio come con un figlio, è arrivato il bello, sotto forma del 2020. Quel fatidico momento in cui guardi la nuova arrivata e ti chiedi "e mo'?". In cui scopri che le tante teorie che hai messo insieme nei mesi di attesa sono inutili. Il momento in cui, non sapendo cosa fare, segui le voci degli altri, provi tutti i sistemi che le altre madri e padri ti assicurano essere miracolosi, ti senti inadeguata, ti comporti in maniera inutilmente severa soltanto perché senti lo sguardo giudicante degli altri che ti pesa. Come se non bastasse già la fatica e la responsabilità di crescere una creatura nuova di zecca. Il momento in cui maledici quel giorno in cui ti è venuta l'insana idea di fare una cosa simile.

E poi, come ogni madre, ho capito. Ho capito che gli altri possono essere un arricchimento, e allora vanno colti e accolti, o un inutile peso, e allora vanno mollati a terra come uno zaino. Ma questa è un'altra storia e forse ne riparleremo. Quello che conta, ora, è che so che all'esterno posso attingere per nuovi insegnamenti, per crescere me stessa, anche per ricevere aiuto, non per farmi indicare la strada giusta da percorrere. Quella la posso scegliere soltanto io, ascoltando con attenzione, sbagliando con entusiasmo. Essendo grata per tutti gli errori che la vita generosamente mi ha inviato finora e da cui ho imparato tanto, molto più di quando non mi presentavo ad un esame universitario se non ero certa di aver studiato anche tutte le note a piè di pagina e la bibliografia, sentendomi al sicuro dietro una perfezione fatta di fumo. E il fumo, si sa, a lungo andare fa piangere e tossire, due cose da confino, in tempo di pandemia.

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