mercoledì 13 febbraio 2019

Liberate gli anni '80

Ciao, nostalgici degli anni '80. Sì, lo ammetto, non vi capisco. Non capisco voi e non capisco neppure tutto quel rimestare magoni lacrimosi con la testa rivolta ad un passato puro, ingenuo, autentico. Non capisco nemmeno di autentico cosa ci fosse.

Ricapitoliamo brevemente.

Andavano le spalline, cioè delle protesi in gommapiuma, democraticamente alla portata di tutti, che consentivano di fare le spalle mostruosamente larghe, la vita improvvisamente stretta (con cinturina elasticizzata "respira, se ne hai il coraggio") e il fianco più stretto per effetto ottico.


Andava il ciuffone, la banana da onda finale de La tempesta perfetta, svettante ed immobile. Oggi sappiamo che il buco dell'ozono è colpa nostra, di quelle bombolette di lacca così generosamente sparate in fronte, con un duplice risultato: capello immobilizzato per un paio di generazioni e fronte ricoperta da un film lucido ed impermeabilizzante. Se non ho rughe, è merito della L'Oreal.

Andava di moda essere daltonici, per cui il colore più ricercato era il verde fluo, abbinato con il rosa fluo, con il viola fluo o con il blu elettrico. Credo che la Stabilo Boss avesse distribuito mance generose agli stilisti, in quegli anni. E se non ti piaceva sembrare la sorella maggiore dei tuoi evidenziatori, c'era l'altro lato della moda, lo scialbo-chic. Quelle belle camicine in flanella, da fare pendant con le lenzuola che ti comprava la mamma, con fantasie incomprensibili e sbiadite anche da nuove, nelle tonalità "terra bruciata morta ammazzata", "bordeux sangue coagulato da giorni" e "blu notte senza stelle né speranze di sorta". E ancora vi chiedete perché adoravamo il bianchetto.

Andava fare finta che la natura non esistesse. Come se i polli venissero al mondo già arrostiti o le fave di cacao fossero prodotte direttamente dai Trancini della Mulino Bianco. Nemmeno sapevamo cosa fossero, le fave di cacao. E ciò nonostante avessi la nonna pugliese, per la quale le merendine, che non contengono cipolla e non sono fritte, non erano cibo. E poi via, di gomme da masticare tossiche, in prima fila i celebri Spinaci di Braccio di Ferro, che non producono più da quando hanno inventato le etichette adesive per vestiti. Vi siete chiesti come fanno a restare attaccate anche dopo 40 lavaggi? Se non sapete rispondere, vuol dire che non vi è mai capitato di far scoppiare un gigantesco pallone di Spinaci di Braccio di Ferro direttamente sui capelli. Un'esperienza che meriterebbe un gruppo Facebook.

Andava molto andare ai lidi ferraresi d'estate e fare il bagno nel petrolio delle piattaforme che vedevi al largo. Le quali, invece di sciacquare i  panni in Arno, sciacquavano le cisterne nel mare. Nessuno lo riteneva dannoso, per cui la balneazione continuava imperterrita e l'unica contromisura era farsi la doccia con ettolitri di docciaschiuma Nivea. Il petrolio contro il petrolio, praticamente omeopatia prima che qualcuno sapesse cosa voleva dire. E così si sopperiva anche alla mancanza di giochi per i bambini. Perché la doccia, che scolava direttamente nella sabbia, creava deliziosi fiumiciattoli di schiuma, da arginare e indirizzare con dighe e ponticelli. Almeno finché non venivi beccato dal bagnino, che, digiuno dei precetti montessoriani, ti rincorreva col remo per spiegarti che no, le pozzanghere di acqua sporca e saponata non erano un valore aggiunto per i bagnanti della prima fila di ombrelloni.

D'inverno, andava la montagna. Dove ricordo la neve ben poche volte. In compenso ricordo che Moena era avvolta in una nube di gas di scarico che faceva tanto moderno, e così pure tutti i passi da cui partivano piste e impianti di risalita. Al punto che a me, ancora oggi, l'odore di sgasata di una Renault del 1985 ricorda immediatamente il freddo del Passo Rolle. Altra cosa di modissima era sciare con i jeans. Credo fosse una questione di sicurezza: dopo un paio di piste i jeans, già rigidi e freddi di loro, diventavano un'armatura scricchiolante e non c'era il rischio di rompersi una gamba. L'ipotermia era tutt'altra questione, ma quella in fondo si risolveva con un paio di grappe. Sì, anche ai minorenni, giuro. Per questo non mi sento in colpa per tentato di fare assaggiare il vin brulè a mia figlia di tre anni.

Andava molto la televisione. Ricordo pomeriggi di cartoni animati strappalacrime, in cui l'amore finiva sempre con la morte di uno dei due, di solito lui. Il parental control era ancora da venire e quindi, proseguendo nella programmazione serale, ho visto cose che voi genitori umanissimi di oggi non potete neanche immaginare. Per questo, da mamma geriatrica quale sono, il mio esempio genitoriale è Leland Palmer, non so se mi spiego. Mentre voi, giovani genitori degli anni '90, ancora pensate, col groppo in gola, al padre di Dawson che si schianta alla guida dell'auto con un cono gelato in mano. Ricordo bene quella puntata. Io e mia sorella davanti alla televisione, o meglio, sotto la televisione, sdraiate dalle risate, nel vederlo andare incontro al Creatore con i vestiti sporchi di vaniglia.

Erano proprio bei tempi. O no?



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