martedì 3 gennaio 2017

2016 vs 2017



Caro 2016,
                 non credo di sconvolgerti troppo se ti dico che molti pensano tu sia stato un anno di merda. Mi ricordi un verso di De Andrè "(...) signor becchino mi ascolti un poco/il suo lavoro a tutti non piace". Ecco, anche tu non hai riscosso grandi consensi, cosa vuoi che ti dica io per risollevarti?

Sicuramente non posso detestarti,
sei l'anno che ha portato qui mia figlia. Però mica possiamo raccontarci che è stato tutto rose e fiori, o no? Vorrai mica che ti illuda, che mi illuda, dicendo che come te nessuno mai. Eri partito bene, come certi ragazzini studiosi delle elementari che alle medie campano di rendita (questa frase andava un botto ai tempi miei), poi un po' ti sei perso, un po' ti ho perso io, per cui ho dovuto riprenderti per il collo, negli ultimissimi metri.

L'inizio è stato col botto: il 22 gennaio alle ore 9.10 mi hai recapito Iaele direttamente tra le braccia, per nulla spaventata dal viaggio di 27 ore all'interno del corpo umano (il mio). E no, 2016, non c'è stato nessun colpo di fulmine. Lo so, lo so, tutti quei blog e quei corsi preparto che descrivono e spiegano scientificamente il legame madre-figlia, così simile al colpo di fulmine per il compagnuccio di quarta ginnasio. Non so che dirti, sul cuore ho sempre avuto una patina di cemento armato, sarà quella che fa da isolante. Fatto sta che ci ho messo del tempo a conoscere mia figlia e a capire quanto mi piaceva essere sua madre. Lei la patina di cemento l'ha polverizzata, tutti gli altri potrebbero trovarla ancora al suo posto. Ma ci sto lavorando.

Poi cosa vuoi, da subito mi ti sei inabissato: il dominio degli ormoni e la mia incapacità di accettare i cambiamenti e le cose della vita in generale, hanno preso il sopravvento, portando rabbia, sconforto e senso di solitudine. Non mi sono mai sentita così sola come in quei primi, lunghi mesi da madre. Non era la mancanza di aiuti, era la mia incapacità di accettarli, di chiederli quando servivano, di spiegare a voce quello che mi succedeva dentro. Al punto che ho preferito non parlare proprio, ignorando mail e messaggi per settimane, abbandonando la scrittura per quasi un anno. Non so in quanti se ne siano accorti, ma la voce, quella vera, mi è andata via per un sacco.

Con la voce se ne è andata la passione, verso tutte le cose che amavo o credevo di amare. Certo, non è che potessi ibernarmi come quella gran bella figheira di Jennifer Lawrence. Ho dovuto andare avanti comunque, ma l'ho fatto in modalità pilota automatico, con un certo numero di avarie, credo nessuna importante, visto che sono stata traghettata fino al 2017. Il che mi ha dato il vantaggio di avere molto tempo per pensare e ascoltare. Non gli altri (scusate, eh), ma il continuo andirivieni dentro di me. Qualcosa l'ho messa a posto, qualcosa è in corso di riparazione, l'importante e che ci ho messo le mani.

La cosa bella dei figli non è soltanto l'amore e il divertimento che portano con sé. Non è nemmeno soltanto il fatto che ti portano a spasso nel tempo, tirando fuori dalla scatola impolverata la bambina che sei stata. Più di tutto, è che ti costringono a fare i conti con chi sei, chi sei stata, cosa sei in grado di fare. Sei costretta a fare delle scelte, che sai essere fondamentali, perché dal tuo modo di essere madre dipenderà in gran parte il loro modo di essere adulti. Paura, eh? A volte sì. Ma alla fine ho scoperto che, contrariamente a quanto sosteneva Don Abbondio, il coraggio si trova, lo si inventa perfino.

Quindi, no caro, 2016, non ti insulto, ma nemmeno ti ringrazio. Ringrazio invece me stessa, per la forza, e ringrazio tutte le persone che mi hanno aspettato per tutto questo tempo, come una moderna Aurora, un filino meno bionda. Vi prometto tutto il mio impegno per far sì che ne sia valsa la pena.

Ed ora veniamo a te, 2017. Ben arrivato, innanzi tutto. Il mio proposito è semplicemente quello di usare di nuovo la voce smarrita nell'anno passato ed usarla bene. Se posso esprimere un desiderio, forse meglio dire una speranza, è questa: per me, per mia figlia, vorrei un mondo dove uomini e donne sappiano trattarsi reciprocamente meglio e con più equità. Dove nessuno sostenga che i bimbi sono meno svegli delle bimbe, dove nessuno dica a mia figlia cosa potrà o non potrà essere, dove lei stessa sappia che può diventare quello che desidera, a patto che sia disposta a lavorarci. Dove non mi tocchi leggere in continuazione vignette maschiliste con sotto commenti estasiati di donne che non sanno che valore darsi. E dove la maternità non sia un tabù, di cui non si può raccontare il vero volto, sepolto sotto ettolitri di bavosi nomignoli dati ai figli. Che averli è bellissimo, forse davvero la cosa più bella di tutta una esistenza, ma certo non può diventare l'ultima cosa bella che hai fatto nella tua vita.

Già che ci sei, mi piacerebbe anche un mondo poverissimo di luoghi comuni e proverbi muffi. La saggezza popolare è una gran bella cosa, certo. Se presa con le pinze, il microscopio e l'amuchina. E purché non venga mischiata alle chiacchiere da bar. In quel caso produce sostanze tossiche, mentre qui c'è bisogno di aria fresca.

Un'ultima cosa, 2017: hai presente quei soggetti che guidano macchinozzi sportivi e tamarri? Ma sì, dai, quelli che ti superano quando ti fermi alle strisce, dimenandosi in gestacci come una ragazzetta di Non è la Rai e urlando improperi muti grazie ai finestrini alzati. Hai capito, no, quelli che un secondo dopo devono riportare braccia, piedi e pure denti sul volante per evitare il pedone a cui stanno accarezzando il malleolo (lo stesso pedone che avevi lasciato passare tu). Ecco, quelli. Se non sai che farne di loro, 2017, scrivimi pure in privato, che un paio di idee niente male ce le ho.

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