venerdì 11 ottobre 2013

LO VOGLIO, ECCOME SE LO VOGLIO

Io credo nel matrimonio, cioè credo che sposarsi abbia ancora un senso. Non credo in niente di ciò che classicamente si ricollega all'evento: non credo negli abiti da migliaia di euro, non credo in tessuti rigidi e di varie sfumature di bianco usati pure per soffiarsi il naso, non credo negli addobbi floreali, né nell'allestimento della sala per il pranzo da 300 invitati. Non credo neppure nei 300 invitati. Non credo nell'impiego di paggetti minorenni, che finiscono per pestare il velo della sposa e rincasano con l'impronta del tacco della medesima stampato sulla fronte. Non credo a "è stato il giorno più bello della mia vita", perché viene da spararsi se l'apice di un'esistenza è ritrovarsi conciate come una drag queen cascata dentro ad una meringa. Per come lo vedo io,
il matrimonio è una faccenda molto riservata, che riguarda i due che lo vivono e i testimoni, a cui da avvocato non rinuncerei nemmeno se la legge lo consentisse, non si sa mai.
Oggi ci credo, al matrimonio, fino a ieri era tutto diverso. Ho un bel po' di trascorsi di fiera anarchia, un passato da gloriosa parolaia contestatrice delle istituzioni conformiste. Si parla di almeno dieci anni, dai 16 in poi, passati a ringhiare rabbiosa e polemica contro i pilastri della società, cioè in ordine di apparizione genitori, scuola, università, lavoro e matrimonio. Anni incazzosi. Poi sono cresciuta e ho scoperto quello che mia nonna sapeva già a dieci anni: le contestazioni sul matrimonio sono stupidaggini, vangate che noi donne in tenera età spesso ci elargiamo con energia sugli alluci. 
Ricordo bene quanto e come lo osteggiavo, il matrimonio, con che forza difendevo la mia convinzione che la convivenza fosse esattamente la stessa cosa, solo più moderna e senza previsione di oboli statali o religiosi, con che determinazione sostenevo che il bisogno di mettere nero su bianco che si sta insieme, che ci si ama, fosse niente di più del retaggio di un'epoca bigotta e moralista. Mi sgolavo a più non posso per convincere chiunque che l'idea del legame per legge o volontà divina era un concetto grettamente materialista, inventato per unire patrimoni, salvare famiglie sul lastrico, mantenere insieme terreni e dare ossigeno al reparto fiction del palinsesto televisivo, mentre l'amore aveva a che fare con tutt'altro. Non sapevo cosa, ma sentivo che non era comunque né la fascia del sindaco né il paramento del prete, e nemmeno la divisa di Schettino, a Love Boat piacendo. Ricordo anche fin troppo bene come molte delle pregevoli argomentazioni le avessi prese in prestito dall'allora fidanzato, che guarda caso era contrarissimo a qualunque legame ufficiale e che pure sull'ufficioso aveva qualche problema. Lo credevo un moderno, mi ci sono voluti quasi tredici anni e numerose discussioni su quanti cassetti dell'armadio era disposto a concedermi in uso, a me che convivevo con lui, per farmi sorgere il dubbio che fosse più probabilmente uno stronzo. Ma sempre in senso molto moderno, sia chiaro.
Oggi ho le idee molto più confuse di dieci anni fa, ma su una cosa ho fatto chiarezza: la convivenza, per me, è una bufala. Non solo non funziona, ma fa proprio venire conati di vomito che nemmeno una sbornia da Vino San Crispino invecchiato in cartone vent'anni potrebbe procurare. E' la più grossa fregatura che il genere femminile si sia auto inferta dall'invenzione della minigonna. La mini, si sa, è una tragedia, perché è di moda, quindi la vorresti, ma è adatta unicamente a chi è venuta al mondo con le gambe fotoscioppate di natura, quindi un gruppo di poche benedette, all'interno del quale il mio nome manca vistosamente. Però le soluzioni estetiche si trovano e sempre sia lodato l'inventore dei leggins con maxi maglia; mentre alla piaga del convivendo-pensiero non si sfugge, è un'ecatombe continua e il fatto che Biagio Antonacci ci abbia perfino fatto una canzone è la prova che noi donne ci muoviamo in un mondo sentimentale da day-after. 
Dico "noi donne" perché il maschio nel convivendo-pensiero ci sguazza, ci sta comodo come sul divano di casa propria davanti ad un porno, talmente gli piace che è quasi sempre da lui che parte la proposta. Considerato che, stando a fonti certe quali Dickens e la Austen, il maschio è da sempre refrattario all'impegno familiare e/o di coppia, questo entusiasmo dovrebbe, e avrebbe dovuto, suscitare più di una perplessità in tutte noi. In me, purtroppo, non ha suscitato nemmeno un'alzata di sopracciglio fino alla fine del secondo esperimento di convivenza, a dimostrazione che la scatola cranica io ce l'ho in tek e che se scrivo sull'argomento è perché, volente o nolente, sono preparatissima. Comunque, per onestà, bisogna distinguere tra i miei due convissuti: il primo, quello della lotta per i cassetti, pur tenendo concioni di giorni contro il matrimonio e pro convivenza, opponeva una fiera resistenza anche solo al trasferimento del mio domicilio presso di lui ed il mio insistere in una campagna di occupazione progressiva (cioè, ti appoggio una mutanda qui, una calza là e mi ti installo in casa che nemmeno te ne accorgi) fu senz'altro masochista ed inopportuno. Il secondo, quello che dopo quattro anni di convivenza faceva la spesa per sé e acquistava pentolini mono porzione che nemmeno uno studente universitario sociopatico, agì invece nel pieno rispetto del protocollo del giovane maschio sdoganato: dopo tre mesi che ci frequentavamo in un senso più o meno sentimentale, mi saltò fuori con la Propostona, offrendomi generosamente il proprio tetto. 
L'idea era molto peggio che balzana e molto meno che isolata, in verità va parecchio di moda. Ma, proprio come la minigonna, sta bene a pochissime fortunate, giunte sulla terra con l'autostima intatta e l'occhio vigile, capaci giustamente di individuare ed attrarre un esponente dell'altro sesso degno di menzione, con cui la condivisione è la normalità, non argomento di diagnosi di una forma rarissima di orticaria. Per tutte le altre, e sono tante, che come me scambiano per amore una condotta soltanto di una tacca inferiore alla stronzeria conclamata, la convivenza è la sublimazione del poco amore per se stesse. Tra l'altro la Propostona, esercitata, come di diritto, nei primi mesi di un rapporto, fa leva proprio su sentimenti di questo tipo: quando assumi quotidianamente dosi massicce di egoismo e scortesia altrui pensando che forse dipende da te, è inevitabile che la richiesta di convolare a giusto condominio ti faccia sentire inebriata e VOLUTA. Odio l'utilizzo del maiuscolo nello scritto, è come urlare in faccia al proprio interlocutore, ma qui mi ha senso, perché il sentirsi davvero desiderate è il caposaldo di molte donne, anche di quelle insospettabili, quelle belle, intelligenti e che riempiono il reggiseno senza ricorrere a brandelli di materasso ad acqua pompati con olio da motore.
Per questi motivi, la Propostona del convivendo-pensiero, sparata senza preavviso all'inizio di una relazione, risulta particolarmente subdola: i maschi sdoganati te la calano come un asso nel momento di tua maggiore fragilità, un secondo dopo aver vinto le tue resistenze razionali a credere nell'amore bello ed eterno e un secondo prima di spanciarsi in tuta e calzino bucato sul divano, chiedendo cosa c'è per cena. Te la infiocchettano quando ancora si mettono una camicia pulita per uscire con te e i fiori che ti regalano per il compleanno sono veri, prima che ti possa nascere l'ombra del sospetto che, un giorno non lontano, ti troverai a fissare incredula un foglio A4, su cui il tuo futuro ex fidanzato avrà sbrodolato la fatica di una stampa a colori raffigurante tre rose, quale omaggio sentitissimo per il vostro terzo anniversario. Invece lì, all'apice dell'auto convincimento iniziale e con l'ormone che galoppa, complice l'assenza di pance budinose e bicipiti come salici piangenti dei tempi a venire, è quasi ovvio accettare.
Per amore di cronaca chiarisco che non ho ceduto subito alle lusinghe della Propostona, perché alla fine non ero così anarchica come credevo e convolare all'unione dei domicili così in fretta mi pareva inaccettabile più di un figlio a sorpresa. Mi sono convinta dopo un annetto, quando ormai l'entusiasmo del convittore era chiaramente scemato. Peccato lui non avesse la forza di dirmelo, preferendo continuare la recita del militante pro convivendo-pensiero, né io avessi il coraggio di dirmelo, ammettendo quanto tutto fosse già triste, dopo appena dodici mesi. E così, vissero infastiditi e scontenti per i successivi quattro anni. Come da protocollo, l'inabissamento del rapporto è iniziato subito, lento ma inesorabile, con riduzione della vita sociale a zero, schizofrenia del tempo libero, che ognuno gestiva in totale autarchia, diradamento di qualsiasi forma di contatto fisico gentile, con esclusione della sola gomitata a tema "scansati che prendo il vino dal frigo", innalzamento di lamentele futili e crescita esponenziale dei silenzi. Una verticale di esasperazione, fino a toccare il punto massimo, quando realizzi che il rumore della porta di casa, che si chiude dietro  a lui che esce, è diventato il tuo segnale di via libera per riprendere a respirare.
Prima di questo però, ho avuto modo di interrogarmi sul quesito fondamentale: come mai un fautore sfegatato del convivendo-pensiero, anche in tempi irragionevoli, fugge urlando di fronte alla parola matrimonio? Forse perché, a conti fatti, nella scelta di convivere non c'era davvero nulla di romantico, di idilliaco, nemmeno di impegnativo. Forse perché, ho scoperto, la convivenza decisa in questo modo è in fondo una soluzione abitativa vantaggiosissima per entrambi, perché, siamo onesti, nessuno vuole stare da solo. E più passano gli anni e meno fa piacere constatare di esserlo, ancora meno se hai avuto problemi con lo svezzamento o se sei ormai un tutt'uno con le tue mille paure, che si riassumono in una molto grande, quella di vivere. In situazioni così, finisce per essere consolante mettere su una casa insieme, scegliere i mobili e i piatti, fare puzzle inguardabili da appendere alle pareti, decidere dove sta meglio il nuovo divano Ikea. E poi, tornare a casa la sera e trovare le luci accese e qualcuno che si lamenta con te perché sei in ritardo o non hai comprato l'ammorbidente all'orchidea, ti fa in fondo sentire bene, è qualcosa che mette a tacere l'ansia per almeno un paio d'ore e a volte consente di dormire. Tutto finisce per assomigliare talmente tanto ad una vita di coppia vera, ad un fac simile di famiglia tua, che diventa difficile rinunciarci. Come se avere l'altra persona lì, perfino quando ormai non significa più nulla per te e tu per lui, fosse comunque la prova che porcamiseria esisti pure tu. E' giocare alla coppia senza rischiare di esserlo, senza avere il coraggio di esserlo e pure senza la speranza di esserlo mai.
Chi fa queste scelte, e mi ci metto pure io, ha paura di tutto quello che la coppia significa: impegno, capacità di amare e di prendersi cura, ma anche capacità di lasciarsi curare e amare, cosa non semplice e desiderabile quanto si pensa, almeno per chi, nel tempo, ha fatto della distanza di braccio la propria filosofia di vita. Per cui immagino che ciò che spaventa nel matrimonio sia soltanto il valore che ciascuno di noi dà a quella promessa, il significato che leggiamo in quell'impegno. Logicamente ne discende che, se ci piglia un attacco di panico alla parola matrimonio, ma fischiamo guasconi e scanzonati all'idea della convivenza, è perché, nel secondo caso, la promessa di essere dei compagni di vita sul filo della decenza la stiamo facendo con tutte le dita di mani e piedi incrociate. Ecco, in conclusione, la prova che, chiunque si comporti così, considera convivenza e matrimonio equivalenti quanto lo sono l'Ecco e l'Orzobimbo. Se non sapete di cosa sto parlando, provate a farvi una tazza di latte ed Ecco, poi mi stendete una relazione motivata e supportata da analisi di laboratorio su quali erbe, a parte la cicoria, il fieno e l'erba gatta, compongono l'Ecco.
Questa, in sintesi, la mia decisione finale: non voglio mai più sentire in vita mia una Propostona di convivenza, soprattutto se insensatamente accelerata e facente riferimento al caro vita, soprattutto se presentata con un bel "perché  no, proviamoci", che va bene se si tratta di cambiare la marca di prosciutto crudo abitualmente comperato, non per manifestare il proprio desiderio di condivisione esistenziale. Voglio qualcuno, preferibilmente un uomo, che sia interessato a prendersi tutto il pacchetto, instabilità umorale e amore per la varianza inclusi. Mi piace ancora sperarci in quest'uomo, non ci credo troppo, ma ci spero. Così come spero che per quel giorno avrò messo a posto quel che c'è da riordinare tra le pareti di tek della mia scatola cranica e avrò imparato a sentirmi me stessa anche senza il bisogno di andarmene, sbattendomi l'ennesima porta alle spalle.  

2 commenti:

  1. Mi piace Sara quando dici: oglio qualcuno, preferibilmente un uomo, che sia interessato a prendersi tutto il pacchetto, instabilità umorale e amore per la varianza inclusi. Mi piace ancora sperarci in quest'uomo, non ci credo troppo, ma ci spero..SONO CON TE!!!

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  2. Grazie! Devo dire che in questi giorni qualcuno interessato a prendersi tutto c'è stato, sebbene non nel modo auspicato. Ma questo è un altro post...

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Sono cinica, ma non ottusa. Quindi, niente paura, dimmi cosa ne pensi!